MIJËVJETSHI I URTISË / MILENIUL ÎNŢELEPCIUNII

Con Monsignor Jean-Claude Périsset

Revista Haemus: Vostra Eccellenza, Monsignor Jean-Claude Périsset! Da otto anni siete rappresentante della Santa Sede in Romania, dopo anni di servizio in diversi Paesi del mondo. Supponiamo che contemporaneamente con la rinunzia ad una vita personale per il servizio della Chiesa, Vostra Eccellenza non ha più una sola patria. In questo contesto, come considerate oggi il Vostro luogo di nascita?

Monsignor Jean-Claude Périsset: Il mio luogo di nascita – Estavayer-le-Lac nella Svizzera romanda – rimane il mio “porto di attracco”, tanto più che si trova sulla riva est del lago di Neuchâtel, dove vivono due fratelli (su tre) ed una sorella, e dove si trova la mia biblioteca. È una borgata medioevale, assieme burgunda e savoiarda dai suoi antecedenti storici, anche se siamo tutti pienamente svizzeri. Ricordo che nel giorno della mia Prima Messa in quella città, il 5 luglio 1964, nel suo indirizzo durante il pranzo festivo, il sindaco della città mi invitò a ricordare sempre la mia cittadina natia, come “culla” della mia formazione umana e cristiana. Difatti riconosco che devo molto alla mia famiglia, al mio parroco della mia infanzia e giovinezza che mi avviò verso la consacrazione a Dio, ai miei maestri, ai miei amici nella mia formazione, e ritorno volentieri “a casa” – come fanno praticamente tutti quegli emigrati da quella cittadina. Anzi, alcuni emigrati da anni chiedono di esservi sepolti, anche se lasciarono la cittadina a 18, 20, 25 anni. Sentiamo questo non solo quando siamo fuori dalle frontiere svizzere, ma anche fuori del nostro cantone di appartenenza, Fribourg; per es. a Ginevra, dove ho cominciato il mio ministero sacerdotale, venne fondata negli anni 1980 una “société staviacoise” (noi cittadini siamo chiamati “staviacois”), visto che vi è emigrato un centinaio di noi. Ne fui per tre anni il primo “cappellano”, allorché in quel tempo risiedevo a Fribourg stesso.
Ritorno ogni anno nella mia cittadina per le vacanze estive, e conservo i migliori rapporti con tutti, approfittando del mio soggiorno per aiutare il clero locale nel servizio liturgico ed altro. Ricevo anche un giornale locale, che mi mantiene al corrente degli eventi principali della cittadina, potendo così mandare qualche messaggio di augurio o di condoglianze – secondo i casi – ad amici o persone da me conosciute meglio. Pertanto, se ho lasciato la mia cittadina fisicamente, vi rimango presente spiritualmente o con il pensiero.

Revista Haemus: Sicuramente la santificazione sottintende la comunione, oppure, almeno alcuni elementi comuni per tutte le tradizioni religiose. Ma quali sono le differenze tra loro, che hanno impressionato Vostra Eccellenza? Cosa potrebbe cambiare, secondo Vostra Eccellenza, nelle tradizioni cristiana, giudaica, islamica, indiana, tra di loro?

Monsignor Jean-Claude Périsset: Come si vede dal mio “curriculum vitae” ho servito la Chiesa in condizioni assai diverse: Sud Africa, Perù, Francia, Pakistan, Giappone, e ho avuto così un contatto più diretto con l’animismo, l’islam, il buddismo e il shintoismo, allorché in Paesi maggiormente cristiani ero pure in contatto con le varie confessioni come il protestantesimo e l’ortodossia. Aggiungo che già nel mio paese si viveva a contatto con i protestanti, e quanto più a Ginevra durante i miei primi anni di ministero sacerdotale.
I rapporti sono ben diversi se si tratta di soli cristiani – poiché la fede fondamentale in Cristo Salvatore è comune a tutti (ciò che chiamiamo “ecumenismo”) – o con rappresentanti di altre religioni (detto “dialogo inter-religioso”). Prima di parlare di differenza, credo che conviene sottolineare ciò che è comune a tutte le religioni: cioè l’atteggiamento della persona verso qualcuno o qualcosa che la ispira, che l’aiuta, che gli vuole bene. A volte appare maggiormente il timore verso questo essere – o esseri nel caso dell’animismo -, a volte maggiormente l’affetto e la fiducia. Nel cristianesimo dovrebbe dominare sempre la fiducia, poiché, come scrive l’Apostolo S. Giovanni, “Dio è Amore”, ciò che Papa Benedetto XVI ha voluto sottolineare nella sua prima Enciclica “Deus caritas est”.
Per quanto riguarda le differenze, mi piace ricordare l’impressione forte che mi fece la manifestazione di fede dei cristiani in Perù, in particolare nella devozione a Cristo morente sulla Croce, come quella dei musulmani in Pakistan all’appello del muezzin. Gli uni come gli altri non avevano nessuna paura di manifestare pubblicamente la loro fede religiosa.
Giacché vogliamo parlare anche di differenza – poiché il sincretismo distrugge i valori religiosi – ritengo che il dialogo inter-religioso deve considerare la base dell’atteggiamento religioso delle varie religioni: il cristiano risponde alla rivelazione di Dio, pienamente manifestatasi in Cristo, riconosciuto come “Dio in mezzo a noi”; così l’ebreo che conosce Dio attraverso la Legge e i Profeti; il musulmano che adora l’Unico onnipotente come insegnato da Muhammad. Per le altre religioni, vi sono sì dei libri che istruiscono delle questioni religiose, ma non come una rivelazione personale. Da giovane sacerdote ho avuto interesse per conoscere – almeno dal di fuori – le grandi religioni del mondo attraverso i testi principali di riferimento, quando venne pubblicata la collezione “Les trésors spirituels de l’humanité” dalle Edizioni “Planète”, la quale, purtroppo, dovette chiudere prima di terminare il suo programma. Sono stati pubblicati però anche alcuni testi relativi alla religione degli antichi greci e romani.
Ciò che auspico possa cambiare nei rapporti tra le religioni è che si abbia un rispetto degli uni per gli altri, come lo manifestano gli incontri mondiali come quelli di Assisi, Tokyo, Mosca, ecc... Non si tratta di “pregare insieme”, poiché chi o ciò con il quale siamo “ri-legati” nella preghiera non ha lo stesso “viso” per un cristiano o per un buddista. Ma possiamo trovarci assieme per esprimere un mutuo rispetto ed affetto, per stimolarci a vivere i nostri valori spirituali, poiché tutti mirano al bene della persona. Forse, intensificando il ritmo e arricchendo il contenuto di tali incontri, potremmo apprezzarci di più mutualmente. Poi, non dimentichiamo ciò che si fa in molti Paesi occidentali nel campo dell’educazione, con un “corso sulle religioni”, per presentare agli alunni di 12-15 anni la storia e il contenuto fondamentale delle grandi religioni del mondo. Questo mi pare tanto più necessario che la “planetarizzazione” o “globalizzazione” della società, con l’immigrazione, con la diffusione planetaria dei mass-media (TV ed Internet soprattutto) ci rende sempre più vicini gli uni dagli altri.

Revista Haemus: Che sa Vostra Eccellenza nei riguardi dell’Albania e del Kosova? Il Papa Giovanni Paolo II ha visitato l’Albania all’inizio degli anni novanta del secolo scorso, mentre per quanto concerne il Kosova, ha detto che esso „ è la nostra ferita e la nostra speranza”. Senza dubbio Vostra eccellenza conosce le sofferenze subite dal clero cattolico albanese. Il cardinale Mikel Koliqi, i preti Anton Harapi, Vinçenc Prenushi, Bernardin Palaj, Simon Jubani e molti altri servitori di Dio, nati nello spazio albanese, hanno sopportato torture e diffamazioni inimmaginabili… Tuttavia, sebbene l’Albania, geograficamente, si trova, per esempio, molto vicino alla Romania, è rimasta assai poco conosciuta …

Monsignor Jean-Claude Périsset: Il mio primo ricordo dell’Albania risale alla mia gioventù, quando si seppe che Enver Hojja aveva non solo dichiarato fuori legge tutte le religioni, ma anche dichiarato che l’Albania era uno stato a-teo, senza Dio. A me, questo pareva come se questo Paese si fosse escluso dalla società, ciò che appariva in parte vero, perché era molto difficile visitarlo. Poi seppi che il primo Paese ad avere rapporti aerei con l’Albania era la Svizzera (senza dubbio per motivi economici). Del Kosova non sapevo nulla fino allo smantellamento della Jugoslavia, nel 1991, quando si parlava di questa provincia autonoma, considerata dai serbi la culla della loro cultura e storia. Giacché quando ero ufficiale presso la Segreteria di Stato seguivo i territori dell’ex-Jugoslavia, ebbi a conoscere sempre meglio la storia del Kosova.
Non mi sorprende che l’Albania sia poco conosciuta in Romania, dato il suo isolamento voluto allora dal regime comunista. La vicinanza geografica non basta; importa la vicinanza culturale, di condivisione degli stessi valori, e ci vogliono anni finché il cambio democratico e turistico dell’Albania abbia effetti visibili. Vedo però che l’apertura dell’Albania va crescendo, e mi meraviglio sempre, quando mi è dato di incontrare qualche albanese, come questo o questa parla bene l’italiano. Una volta uno mi disse che questo è normale, perché da quando fu possibile, tutte le famiglie albanesi avevano la loro TV sintonizzata sui programmi italiani piuttosto che su quelli nazionali.

Revista Haemus: Come definisce un alto missionario cattolico il periodo di transizione del mondo balcanico?

Monsignor Jean-Claude Périsset: Definirei la transizione del mondo balcanico un risveglio brusco dopo un incubo, cioè la gente è lieta di esser uscita da anni di dominazione e di persecuzione della religione, ma allo stesso tempo vede che è tempo di alzarsi per far fronte agli obblighi del giorno, alla realtà presente. E, come dopo un incubo, a volte si fa fatica a riprendere coscienza della realtà.
Per quanto riguarda i valori religiosi in questo risveglio, constato che questi non sono spariti sotto la persecuzione; anzi, il fatto stesso della persecuzione, di tanti credenti (sacerdoti, laici, religiosi e religiose) incarcerati a causa della loro fedeltà religiosa manifesta che questi valori rimanevano presenti nella popolazione, anche se in modo nascosto. Quando Papa Pio XII parlava della “Chiesa del silenzio” per designare le comunità cattoliche dietro la “cortina di ferro”, affermava l’esistenza di questa Chiesa, nelle radici, che esistono anche se non sono evidenti. Questo silenzio appare oggi più eloquente, anzi più strepitoso che molti eventi, pure belli e validi, che la Chiesa poteva vivere in Paesi dove esisteva la libertà religiosa. Vediamo pure come i Paesi che hanno sofferto per la religione sono oggi più consci del pericolo del materialismo pratico portato dal consumismo. Il comunismo era visibile nella sua negazione di Dio – e dunque nell’oppressione dell’uomo creato ad immagine di Dio -; mentre il consumismo è come un cancro che si sviluppa e crea tumori senza rumore, e quando uno se ne rende conto è ben tardi per proteggersi del male che sta compiendo nella società. Le chiese vuote nei Paesi occidentali ne sono una prova.

Revista Haemus: Forse Vostra Eccellenza ha trovato delle somiglianze tra il periodo comunista e la globalizzazione? Quali sarebbero i segni che dovrebbero preoccuparci più urgentemente in questa direzione?

Monsignor Jean-Claude Périsset: La globalizzazione promossa dal comunismo procede dal fatto che esso è una ideologia che ispira un progetto politico valido per tutta la società umana, in qualunque Stato essa sia. Il materialismo ateo considera la società come malleabile, per portarla alla forma che corrisponde al proprio progetto ideologico. La globalizzazione di cui si parla oggi corrisponde maggiormente a due fattori: il primo, di ordine sociale, con la diffusione di valori che sono quelli della “comunità internazionale”, sotto l’influsso preponderante di organismi internazionali come l’ONU e le sue molteplici agenzie, l’Unione Europa, l’OSCE, ecc...; il secondo è di origine materiale o tecnica, mediante i mezzi di comunicazione: telefono, stampa, radio, televisione, e oggi soprattutto internet. Parlerò più avanti di un terzo fattore di “globalizzazione”.
Il comunismo “globalizzava” la società con la forza, il terrore e la dominazione, mentre l’attuale processo di “globalizzazione” della società con comportamenti condivisi da tutti è frutto di dialogo, di voto democratico, di persuasione. Questo, però non significa che questa globalizzazione sia sempre portatrice di autentici valori. Non senza motivo Papa Benedetto XVI condanna la “dittatura del voto maggioritario”, poiché la verità dell’uomo e sull’uomo non dipende dal parere della maggioranza, ma dal fatto che egli è creato “ad immagine e somiglianza di Dio”. Per es. non è perché un Paese riconosce l’aborto come legale che questo sia buono per la società. Bisogna non confondere tra “legale” e “morale”; ed è proprio il compito dei cristiani impegnarsi nella società, particolarmente nell’ambiente politico, perché i valori della persona siano riconosciuti e promossi. In questo contesto considero che l’adesione all’Unione Europea di Paesi come la Romania e la Bulgaria, come già quella di altri Paesi dell’Est europeo, i quali hanno vissuto la persecuzione per la fede cristiana, dovrebbe risvegliare quelli occidentali sul significato di questi valori intangibili per la società. Si capisce dunque perché la polemica su le “radici cristiane dell’Europa” era incomprensibile per la società dell’Est europeo.
Dunque, ciò che oggi ci dovrebbe preoccupare nella “globalizzazione” della società umana sono le fondamenta sulle quali si globalizza, i valori o non-valori che questa diffonde. I mezzi di globalizzazione sono per conto loro neutri, perché possono trasmettere programmi radio o TV che fanno crescere l’uomo nella sua umanità, o al contrario rovinarlo. Importante sono i “focolai” dai quali procedono i grandi movimenti culturali e sociali, tra cui sono particolarmente attivi le ONG.
Poi conviene menzionare un terzo fattore di “globalizzazione”, nel settore industriale, tanto medicale e alimentare che energetico e commerciale. La fusione di grandi industrie, l’interdipendenza tra produttori e distributori, le ripercussioni su tutta la società di mercato a livello mondiale, richiedono che quanti hanno responsabilità decisiva in tutti questi settori abbiano un acuto senso di responsabilità sulle conseguenze delle attività che dirigono.

Revista Haemus: Per quanto riguarda la polemica sorta tre anni fa sulle “radici cristiane dell’Europa” – menzione storica che mancava nel progetto di Costituzione per l’Europa, V.E. può esprimere il suo parere?

Monsignor Jean-Claude Périsset: Molto si è detto sulla polemica relativa alle "radici cristiane" del continente Europeo, di cui non si è voluto fare menzione esplicita nella "Costituzione per l'Europa". Non voglio tornare su questa vertenza, ma penso che si debba cercare piuttosto ciò che i cristiani si aspettano da detta Costituzione, per poter esprimere liberamente, tanto personalmente che in comunità, la loro condizione di discepoli di Cristo. Certo, mi pare essere almeno un errore nella percezione storica dell'Europa l'assenza di riferimento esplicito a Dio, e in particolare al cristianesimo, almeno nel preambolo alla Costituzione, che dà i principi sui quali i popoli - "i cittadini e gli Stati" dice il testo - che vivono e formano l'Europa fondano la loro comune appartenenza sociale, culturale, economica e politica.
Più che le dichiarazioni o i testi, però, conta la presenza cristiana nella società europea; per cui mi rallegro constatare che nel lungo processo di integrazione dei popoli europei in un ente politico, sociale, economico e culturale coerente, non v’è questione soltanto di valori materiali e sociali, ma anche culturali e spirituali. La Costituzione per l'Europa è stata elaborata ed accettata dai Governi, nella fase di approvazione nei vari Paesi membri dell'Unione Europea - o per voto in Parlamento o per referendum popolare -, e due Paesi, Francia e Paesi Bassi, l’hanno respinto per voto popolare. Vediamo che questo processo di approvazione, e dunque di accettazione da parte dei "cittadini e Stati europei" - anche se travagliato come un parto difficile - offre a chi vuole esprimersi l'opportunità di manifestare le proprie attese ed esigenze, in un dialogo ampio attraverso i mezzi di comunicazione sociale (tra cui anche Internet), conferenze, libri, ed altri. Pertanto anche i cristiani, cittadini europei, devono intervenire per far spuntare fiori e frutti dalle radici cristiane del nostro continente europeo. Per me contano maggiormente gli interventi concreti dei cristiani nei diversi campi della vita sociale che non le parole sulle radici cristiane dell'Europa. Per es., grazie ad una mobilitazione concertata di molte ONG cattoliche, degli episcopati e dei responsabili delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali dell'Europa è stata sconfitta dopo anni di lotta, il 27 aprile 2005, una proposta fatta nel Parlamento del Consiglio d'Europa (ente ben distinto da quello dell'Unione Europea) per favorire l'eutanasia sotto pretesto di offrire misure adeguate per l'assistenza alle persone in fin di vita.

Revista Haemus: Il Papa Giovanni Paolo II è stato considerato un papa modernissimo, che non ha rifiutato di collaborare con i mass-media. Essendo poeta e raffinato pensatore, il Santo Padre ha insistito sulla necessità di far incontrare tra loro i massimi rappresentanti delle grandi religioni del mondo ed ha organizzato alcuni incontri ecumenici memorabili.

Monsignor Jean-Claude Périsset: Come ho già menzionato prima in merito alle grandi religioni, credo che bisogna distinguere bene tra “ecumenismo”, cioè dialogo tra le confessioni cristiane, e “dialogo inter-religioso” che riguarda i rapporti con le altre religioni. Nel promuovere tale dialogo tra tutti i credenti e dunque tra le religioni, Papa Giovanni Paolo II metteva in atto ciò che il Concilio Vaticano II (1962-1965) ha proposto in due documenti importanti, cioè per il dialogo tra i cristiani il Decreto “Unitatis redintegratio” sul dialogo ecumenico e la Dichiarazione “Nostra aetate” per quello con le altre religioni: ebraismo, islam, buddismo, animismo, ecc...
Incontrarsi è il primo passo del dialogo, perché se sono utili letture dei testi importanti di ciascuna religione – come potevo fare io nel leggere i “Trésors spirituels de l’humanité” è molto più proficuo conoscere chi vive di tale tradizione religiosa, per apprezzarne il valore religioso, la forza di convinzione, i frutti concreti di tale religione per la vita quotidiana. I Padri della Chiesa, come S. Agostino (354-430) parlavano delle “anime naturalmente cristiane”, le quali facevano tesoro dei cosiddetti “semi del Verbo” – cioè di valori che in fine, secondo la nostra fede, risalgano a Cristo, Dio in mezzo a noi - nel seguire la loro coscienza secondo i dettami della propria religione.
Tali incontri tra fedeli di religioni diverse non portano però al sincretismo, che vorrebbe fare una specie di “brodo spirituale” di quanto piace in ciascuna di esse, ma permette di sottolineare i punti di convergenza su questioni importanti per tutta la società, come il rispetto dell’altro, la solidarietà, l’impegno per la pace, l’aiuto ai più bisognosi, ecc...

Revista Haemus: Sempre sotto il mandato del Papa Giovanni Paolo II, è stata beatificata la celebre donna albanese Gonxhe Bojaxhiu, conosciuta sopratutto come Madre Teresa di Calcutta. Nell’ambito della stampa, hanno avuto luogo numerosi dibattiti legati all’origine etnica di Madre Teresa, benché i dati siano indiscutibili.

Monsignor Jean-Claude Périsset: Non credo che i dibattiti della stampa sull’origine etnica di Madre Teresa di Calcutta possano cambiare la realtà storica della sua origine. Per noi della Chiesa cattolica, importa soprattutto che essa sia stata scelta da Dio per una missione di carità che manifesta proprio l’esistenza di Dio e il suo amore per il mondo. Cito qui ciò che disse un giornalista-fotografo che ha percorso tutto il mondo per una agenzia internazionale: “non so se Dio esiste; ma ho visto Dio presente in tante opere di beneficenza, ospedali, dispensari, dove lavorano religiose e religiosi in nome di Dio”. Dunque capite perché Papa Giovanni Paolo II ha voluto proclamare presto “beata”, cioè proporla come modello di fedeltà a Cristo, questa Suor Gonxhe Bojaxhiu, che tanto impatto ha avuto nel mondo, per essersi occupata con amore preferenziale di questi moribondi di Calcutta, ai quali dare un luogo e un tempo decenti per morire. Questa è vera fede cristiana, manifestata dall’amore per il prossimo. Non senza motivo, Papa Benedetto XVI ha richiamato a tutta la Chiesa questo valore umano della solidarietà, dell’amore al prossimo, che ha la sua radice in Dio, citando per ben tre volte la beata Madre Teresa di Calcutta come modello di fede cristiana nella sua prima Enciclica Deus caritas est.
Mi piace ricordare anche quanto fatto qui a Bucarest dall’Ambasciata albanese al momento della sua beatificazione con una mostra sull’opera di Madre Teresa. Chi avrebbe mai immaginato una cosa simile venti anni fa?

Revista Haemus: Come pare a Vostra Eccellenza, l’era digitale: benefica o fatale per la religione?

Monsignor Jean-Claude Périsset: L’era digitale non ha in se stessa nessun indirizzo buono o cattivo per la religione. Come per tutti i mezzi materiali, il loro uso dipende dall’intenzione di chi li usa. Anche la penna può servire a scrivere lettere d’amore o lettere d’ingiurie. Così il computer. Di pari modo, la TV presenta programmi che elevano la mente, ed altri che sono distruttivi dei valori, e così via... Pertanto, importante è di essere educati al buon uso dei mezzi digitali, i quali, per se stessi sono molto utili e facilitano la vita. Per esempio Internet permette di aver accesso a tante informazioni di ogni genere. Ma cosa cerco quando mi metto a “zappare” sullo schermo del televisore o sui temi attraverso Internet? programmi buoni o cose sporche? Pertanto, per i genitori diventa più difficile, ma anche più necessario, educare i figli al buon uso di tali mezzi. Esiste certo una pressione dell’ambiente, soprattutto in Occidente, della “globalizzazione” materiale, per esempio che ogni bambino deve avere il suo telefonino per essere sempre in contatto con gli amici attraverso gli SMS. Ma, perché questo, allorché l’incontro tra le persone stesse sarebbe ben più ricco di contenuto. Ma, poi, sono i genitori a dover pagare la bolletta del telefonino. In tutto questo, conviene non lasciarsi dominare dai mezzi di comunicazione – ma la pubblicità appare a volte dominatrice - per non diventarne schiavi. Poi vi sono tanti programmi diffusi da parrocchie, movimenti ed altri, per diffondere i valori cristiani. Dunque, l’uso, non l’apparato, è determinante per dire se l’era digitale è benefica alla religione o meno.

Revista Haemus: Potete dirci una parabola che ha „scosso” Vostra Eccellenza ed ha avuto su di Lei il valore di una vera biblioteca?

Monsignor Jean-Claude Périsset: Non direi una “parabola”, ma un detto: “il meglio è nemico del bene” ha avuto per me un significato costante da quando sono giovane, perché veniva spesso ripetuto da un mio professore. Non direi neanche che mi ha “scosso”, ma mi ha permesso di riflettere lungo la vita su fatti e persone attorno a me. Vorremmo sempre che le cose siano fatte subito e bene, senza tener sufficientemente conto della realtà. Nello stesso senso ricordo ciò che diceva una Figlia della Carità di S. Vincenzo di Paoli, educatrice in una scuola di Fribourg: “non è tirando le foglie che facciamo crescere i fiori”, per invitarci ad avere pazienza nell’educazione dei fanciulli e fanciulle.
Vi sarebbero anche molti altri detti, immagini o fatti che hanno avuto una influenza determinante nella mia formazione, e ci vorrebbe forse un libretto intero per citarli tutti; ma basta questo piccolo ricordo, per segnalare che ciascuno di noi è debitore ad altri di elementi importanti della sua propria personalità. Questi sono elementi dell’educazione, di cui i genitori sono i primi artefici per i propri bambini.
Poi vorrei aggiungere una “parola” che mi ha scosso, durante un ritiro spirituale in seminario, che è oggi il mio motto episcopale, come è uso fare per i Vescovi nella Chiesa latina: “Fiat voluntas Tua”, “sia fatta la tua volontà”, terza lode a Dio insegnatoci da Cristo nel Padre Nostro. Spesso, questo atteggiamento non viene capito nel mondo odierno che propone la massima libertà in tutti i campi. Ma cosa è la libertà? non si tratta di fare “di testa mia, come mi piace”, ma di scegliere i mezzi migliori per riuscire, per diventare maggiormente me stesso, creato ad immagine e somiglianza di Dio. C’è un fatto, che sono creato, secondo norme date da Dio, non da me; pertanto, soltanto se sono in accordo con Lui, con la Sua volontà, posso assomigliarGli più completamente e riuscire la mia via. La mia scelta è veramente mia, dei mezzi che egli – attraverso l’educazione, il mondo e soprattutto i valori religiosi – mi propone.

Revista Haemus: Un breve commento sulle dichiarazioni del Papa Benedetto XVI sull’Islam?

Monsignor Jean-Claude Périsset: Non vorrei commentare ciò che Papa Benedetto stesso ha già commentato; ma soltanto riassumere la sua risposta così: nella sua “lezione” nell’aula magna dell’Università di Regensburg, dove egli aveva insegnato per ben otto anni, il Papa ha citato una riflessione sull’Islam di un imperatore di Bisanzio del XIV° sec., Manuel II Paleologo, come tipica di una posizione che non dà ragione dei rapporti dell’uomo con Dio secondo la tradizione cristiana. Tutto l’esposto del Papa mostra che egli non condivide tale riflessione, come lo provano anche tante altre sue dichiarazioni di rispetto dell’Islam e della fede islamica, come pure i documenti della Chiesa su questo tema. Si trattava proprio dei rapporti tra fede e ragione, non tra fede e violenza.
La polemica sorta subito dopo questo discorso è prova del pericolo della “globalizzazione mediatica”, poiché è stato sufficiente che un’Agenzia internazionale di stampa – con lettura distorta del testo – abbia diffuso che il Papa condannava l’Islam come propagatore della fede mediante la forza perché sia in subbuglio tutto il mondo musulmano. Questo succede un po’ dappertutto, certo su temi di minore importanza; ma questo fatto ci invita a ricercare sempre informazioni esatte e complete su fatti e detti prima di prendere posizione.

Revista Haemus: Vostra Eccellenza ha conosciuto numerosi uomini dotati di dono divino, celebri, ma anche anonimi. Di quali tra loro ne avreste voluto parlarci in questi momenti?

Monsignor Jean-Claude Périsset: Come “donna di Dio” celebre, parlerei di Madre Teresa di Calcutta, che incontrai personalmente due volte, la prima nella nunziatura di Tokyo durante una sua visita in Giappone, nel 1984. Ma ritengo un’altra donna, anonima, dalla quale ho appreso molto per la preghiera. Era una vicina di casa, già anziana e non sposata, che passava tutte le sere in chiesa dopo le sue giornate di lavoro nelle case degli altri per pulire, fare il bucato, o altro. Anch’io andavo in chiesa, ma non così a lungo. Con il tempo, ho capito che si passa ben meglio la serata in preghiera davanti al Santissimo presente nel tabernacolo (nella tradizione della Chiesa latina) che davanti al televisore. Penso anche ai miei genitori e nonni, ai quali devo la mia educazione nella fede in Cristo e nel rispetto del prossimo, nella difesa della verità, costi quel che costi per se stesso. Così pure il parroco che mi battezzò e mi condusse all’altare dopo la mia Ordinazione sacerdotale.
Ho avuto anche la grazia, a motivo del mio lavoro in Vaticano durante gli anni 1991-1998, di avere più volte sessioni di lavoro con Papa Giovanni Paolo II, e posso dire che ne uscivo ogni volta rinvigorito nel mio servizio alla Chiesa. La corale o “globale” presenza del mondo intero ai suoi funerali si spiega dall’irradiamento che egli faceva della presenza di Dio Amore in mezzo all’umanità con la sua fedeltà alla sua missione.

Revista Haemus: Può svelare l’andamento di una giornata normale della vita Sua?
Monsignor Jean-Claude Périsset: Il ritmo di vita di un Nunzio Apostolico dipende in gran parte del Paese nel quale egli si trova e dei costumi locali. Per quanto mi riguarda qui a Bucarest, comincio la mia giornata alle ore 06.00. Poi, quando celebro la Santa Messa alle ore 07.30 per la Comunità della Nunziatura, ho già pregato parte dell’Ufficio divino che ogni Sacerdote cattolico deve pregare ogni giorno. Subito dopo la prima colazione e la presenza in ufficio dalle ore 09.00 alle ore 13.00. Il primo “lavoro” consiste nella lettura della stampa nazionale ed internazionale, poiché un diplomatico deve tenersi informato di quanto succede nel Paese e nel mondo. Durante la mattinata, a partire delle ore 11.00 vi sono spesso visite di ogni tipo: Sacerdoti, Religiose, Laici – anche ortodossi – per diversi affari religiosi o culturali; come pure Diplomatici, in visita al Decano del Corpo Diplomatico, poiché nel 1997 il Governo rumeno ha concesso il privilegio del decanato al Rappresentante del Papa, come era tradizione sotto la monarchia. Il pranzo alle ore 13.00, seguito da un momento di riposo. Dopo di che apro ciò che chiamo “la boîte à surprises” cioè l’Internet con il corriere elettronico arrivato. Verso le ore 16.00 scendo in ufficio per vedere le cose forse ancora arrivate per posta o per telefono, e se non v’è nulla di urgente, faccio un’ora di musica al pianoforte (poiché la nunziatura di Bucarest gode il privilegio di un vecchio ed ottimo pianoforte “Steinway”, per cui mi sono rimesso a fare musica dopo 35 anni). Dopo segue un tempo di lettura, o qualche ricevimento in città, in particolare per le Feste nazionali nelle Ambasciate residenti a Bucarest. La cena alle ore 19.30, seguita da un momento alla televisione per le notizie del giorno; e poi un lungo tempo di preghiera in cappella. Lettura di giornali ed estinzione della luce verso le ore 22.00. Dunque, giornate di preghiera, di lavoro, di formazione culturale, di incontri, senza nulla di particolare.